Storie di libri perduti

Cosa sono i libri perduti? Sono quei libri che un tempo sono esistiti e ora non ci sono più, quelli che l’autore non ha finito di scrivere, o quelli che qualcuno ha visto, magari anche letto, e che poi sono stati distrutti o dei quali non si è saputo più niente. 

I motivi che portano alla perdita di un libro sono i più disparati. Può capitare che l’autore non abbia finito di scriverlo, o che lo abbia distrutto poiché insoddisfatto. Oppure possono essere state le circostanze storiche a creare un vuoto: le distruzioni causate dalla Seconda guerra mondiale, la censura, l’autocensura o i sequestri di opere considerate scandalose, pericolose. La mancanza di un’opera può essere causata anche dalla volontà degli eredi, in particolar modo dei vedovi e delle vedove, nel loro voler proteggere la reputazione di se stessi e dei propri congiunti dall’incompiutezza delle loro opere o dai fatti che vi erano rappresentati. 

Ciò che accomuna tutte queste eventuali casistiche è comunque il fatto che i libri perduti hanno un fascino che tutti gli altri non possiedono, poiché lasciano a noi lettori la possibilità di immaginarli, di raccontarli e di reinventarli.

Hemingway e la valigia rubata

Nel 1922, in un treno in partenza dalla Gare de Lyon di Parigi, la moglie di Ernest Hemingway è colta da una sete improvvisa. Hadley Richardson – questo il nome della donna – lascia il bagaglio incustodito nello scompartimento e scende a prendere di corsa una bottiglietta d’acqua. La valigia contiene tutte le prime prove narrative di suo marito, uno dei più grandi scrittori del secolo passato, ma al suo ritorno non c’è più. 

È lo stesso Hemingway a raccontarci la storia, quando scrive che Il mio vecchio era uno dei due testi che gli erano rimasti dopo che tutto quello che aveva scritto gli era stato rubato insieme alla valigia che la moglie aveva abbandonato alla stazione parigina. 

Quel giorno la donna stava portando i manoscritti a Losanna, dove i coniugi avrebbero dovuto trascorrere le loro vacanze. In quella valigia la moglie aveva messo i manoscritti, i testi battuti a macchina e anche le copie carbone. 

Il mio vecchio si era salvato perché l’autore l’aveva mandato a un editore che glielo aveva rifiutato e rispedito indietro con una lettera, e così era rimasto nella posta ancora chiusa che Hadley aveva lasciato a Parigi. 

Per Hemingway si tratta di un evento sconvolgente, tanto che raccontandolo scrive: “Era proprio un brutto momento e non pensavo che sarei mai più riuscito a scrivere”. 

Pare che Hemingway abbia anche pubblicato un annuncio per offrire una ricompensa a chi avesse ritrovato la sua valigia, ma essa non ricomparve più, e tutte quelle carte che contenevano il lavoro di più di tre anni andarono perse per sempre.  

Vittorini e la censura

Pubblicato a puntate sulla rivista fiorentina “Solaria”, Il garofano rosso tra il 1933 e il 1934 subisce sequestri e mutilazioni a causa delle sue «espressioni licenziose» e per la sua «offesa alla morale e al buon costume». 

Prima di proporlo per una pubblicazione in volume alla Mondadori, di cui lo scrittore è attivo collaboratore, Vittorini avvia una profonda revisione del testo, partendo dall’esigenza di eliminare tutti quei passi moralisticamente più pericolosi. Tale operazione equivarrà tuttavia a un profondo rifacimento complessivo dell’opera, che non otterrà comunque il nulla osta da parte della Commissione per la bonifica libraria, costringendo così l’autore a rinunciare alla pubblicazione. 

Il testo del Garofano rosso resterà perciò a lungo nei cassetti mondadoriani, per uscire, ormai fortemente modificato, soltanto nell’immediato dopoguerra. 

Il perfezionismo di Gogol'

Il giovane Gogol’, considerato all’epoca già un genio della letteratura, era intenzionato a scrivere un grande poema sulla Russia seguendo un modello dantesco: nelle intenzioni dello scrittore Le anime morte, pubblicato nel 1842, avrebbero rappresentato solo la prima parte, nella quale veniva descritta la dimensione morale più bassa della Russia (l’inferno). Ma il grande progetto rimase incompiuto.

Il primo tomo delle Anime morte (inizialmente intitolato per motivi di censura Le avventure di Cicikov o le anime morte, poiché le anime per definizione dovevano essere immortali ed era quindi meglio che, abbinate a quell’aggettivo, rimanessero confinate nel sottotitolo) ottenne un successo clamoroso. Intorno al libro si crearono molte aspettative, così Gogol’ decise di prendere tempo: si mise a viaggiare per l’Europa e intanto scriveva e buttava, come se tutto ciò che usciva dalla sua penna non fosse mai pienamente soddisfacente. In mezzo a questa enorme confusione di stesure diverse e continui viaggi, a cui si deve aggiungere la sua salute cagionevole sia fisica che mentale, l’unica cosa sicura è che il secondo volume delle Anime morte a un certo punto scomparve. 

Gogol’ dà fuoco alle carte: alla base della sua scelta di distruggere la seconda parte delle Anime morte non sono solo le sue enormi aspettative artistiche, l’idea che quel libro dovesse essere il capolavoro imperituro della letteratura russa, ma anche la volontà di dare insegnamenti, di creare un imponente volume dedicato alla ricostruzione morale del popolo russo. 

Dopo aver dato fuoco alle carte l’autore vivrà ancora dieci giorni, ma ormai in una sorta di prolungata agonia, senza voler più mangiare, disperato e provato dalle inutili cure dei medici. Indebolito da lunghi periodi di digiuno e di penitenza, l’autore morirà nel febbraio del 1852.

La distruzione del diario di Sylvia Plath

Quando Sylvia Plath muore, suicida, nel suo appartamento londinese a Fitzroy Road 23, ha poco più di trent’anni. È sposata con Ted Hughes, ma da alcuni mesi sono separati a causa dei ripetuti tradimenti di lui. Non è ancora un’autrice famosa, anche se ha già pubblicato molti scritti su diverse riviste, oltre a un libro di poesie e un romanzo sotto pseudonimo, la cui accoglienza è stata tiepida. 

Per anni Hughes è accusato di essere il responsabile della morte della scrittrice, come se il suo suicidio fosse l’inevitabile conseguenza dei suoi comportamenti. Solo quando, alcuni decenni dopo, Hughes decise di pubblicare le poesie che la donna aveva scritto nel corso degli anni, il pubblico capì che la questione era molto più complicata. 

Tuttavia il marito, a cui toccò legalmente l’eredità letteraria della Plath, distrugge gli ultimi mesi del suo diario, perché, come si giustificherà più tardi, non voleva che i loro figli lo leggessero mai, convinto che ne avrebbero troppo sofferto. I diari degli anni precedenti verranno invece stampati via via nel tempo, così come molte delle sue lettere.

Hughes curò anche l’edizione di Ariel, il libro che avrebbe sancito il successo di Sylvia Plath, modificando però in parte la scelta delle poesie rispetto alle indicazioni da lei fornite. 

Vi è poi il caso del romanzo iniziato e interrotto, Double exposure: un testo di 130 cartelle che, come scrive il marito nell’introduzione a una raccolta di racconti e altri testi in prosa della Plath «è andato perduto da qualche parte degli anni Settanta.» O forse no? Quello che è certo è che capire come sono andate veramente le cose diventa impossibile, e che il destino di tutto quanto è rimasto inedito della celebre poetessa è stato sottoposto al giudizio del marito.

Il romanzo incompiuto di Romano Bilenchi

Maria Ferrara, moglie dello scrittore toscano Romano Bilenchi, qualche mese dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1989, riordina le carte del marito e scopre dentro un cassetto il manoscritto incompiuto di un romanzo: Il viale. Più che incompiuto sembrava lasciato in una fase intermedia fra una prima e una seconda stesura che in parte si sovrapponevano e per altri aspetti si contraddicevano, poiché la storia aveva subito complessivamente delle sostanziali modifiche.

Romano Bilenchi era solito tornare più volte sui propri testi, rifacendone intere parti in modo quasi ossessivo. Tra il 1941 e il 1972, in un trentennio di silenzio narrativo, l’autore non aveva più pubblicato niente, ma aveva solamente fatto cenno soltanto ad alcuni abbozzi, in particolare a un romanzo quasi finito, intitolato L’innocenza di Teresa.

Tale scritto, secondo quanto riportato da Giorgio Van Straten, parrebbe avere molti elementi in comune proprio con Il viale, che fu consegnato da Maria all’amico del marito Giorgio.

Van Straten racconta che quella contenuta ne Il viale era una storia d’amore, la trasposizione di una vicenda reale, probabilmente quella della sua relazione con Maria, segretaria di redazione presso il quotidiano che Bilenchi dirigeva, iniziata quando la prima moglie di Bilenchi era ancora viva. E forse è per questo motivo che il romanzo era stato messo in fondo a un cassetto anziché essere pubblicato. 

Maria Ferrara consegna dunque all’amico Giorgio Van Straten il manoscritto del marito, con la promessa di restituirglielo senza duplicarlo, in modo che fosse lei a conservare l’unica copia esistente. Prima di morire Maria Bilenchi aveva deciso di bruciare tutte le loro lettere e anche il manoscritto del romanzo. In questa scelta, che arrivava dopo lunghi anni di riflessione, forse c’è un gesto di estremo amore, causato probabilmente dall’incompiutezza del testo, così rilevante per uno scrittore come Bilenchi, sempre alla ricerca dell’esattezza della lingua, della parola giusta, dello scrivere bene. Un libro non finito per lui probabilmente era un non libro.

Fonti

G. Van Straten, Storie di libri perduti, 2016, Laterza, Roma-Bari
G.C. Ferretti, Siamo spiacenti. Controstoria dell’editoria italiana attraverso i rifiuti, 2012, Mondadori, Milano

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