Come è nato il libro
Il libro come lo conosciamo noi oggi è un oggetto ben distinguibile e difficilmente sostituibile. Ma non è sempre stato così.
Per noi oggi un libro è fatto con pagine di carta, stampate su entrambi i lati, cucite tra loro e tenute assieme da una copertina. Duemila anni fa era però praticamente impossibile imbattersi in un libro simile a quelli dei giorni nostri. La rivoluzione che stiamo vivendo con l’avvento dell’ebook non è infatti il primo grande cambiamento nella fruizione e nella forma della parola scritta.
L'antenato del libro
Per millenni la funzione che oggi è del libro era assolta da altri supporti:
- tavolette d’argilla incisa con caratteri cuneiformi
- papiri dipinti con i geroglifici
- bende di lino
- tavolette di cera
- rotoli di pergamena
- fogli di pergamena cuciti insieme in forma di codex
Tutti questi antenati del libro avevano una caratteristica precisa: essere esemplari unici.
Scribi e monaci copiavano i testi, o li scrivevano sotto dettatura; il mondo dei manoscritti viveva su committenze individuali, in un rapporto assai prossimo al valore 1:1 tra testo, copista, eventuale minatore e acquirente.
La stampa a caratteri mobili
Per soddisfare la crescente domanda di opere scritte, si iniziò a ricorrere all’utilizzo dei caratteri mobili. L’idea dei caratteri mobili era nata molto tempo prima nella cultura orientale. Essi consistevano in lettere rovesciate scolpite a rilievo sul fondo di tessere in lega di piombo.
Le operazioni di punzonatura richiedevano una perizia orafa, ma rimanevano fatte a mano: costavano molto e lo stile era diverso a seconda di chi ne aveva intagliato la matrice.
Questo ci spiega perché la nuova arte si affermò inizialmente proprio nella cerchia degli orafi. Fu infatti Johannes Gutenberg, un orafo, che a metà del Quattrocento, a Magonza, già allora una delle più trafficate vie commerciali d’Europa, perfezionando e mutando la struttura del torchio da uva e inventando i caratteri mobili fusi nel metallo, rese possibile la produzione seriale e meccanica del libro.
All’improvviso la produzione dei testi non era più controllata solo da una classe élitaria di monaci e dalla classe dominante. I messaggi potevano essere diffusi più facilmente, si potevano produrre costantemente nuove copie, e in tutta Europa spuntarono le stamperie.
Tale procedimento rimase manuale sino agli anni Trenta del XIX secolo, quando fu infine possibile renderlo standardizzato. Per questo gli studiosi parlano di “stampa di Antico Regime” e pongono convenzionalmente al 1830 il confine tra libro antico e libro moderno.
Tuttavia, l’invenzione della stampa non avrebbe avuto seguito se non fosse comparso in Europa un nuovo materiale venuto dalla Cina tramite i mercanti Arabi: la carta.
Un nuovo materiale
La carta apparve in Italia nel XII secolo. Essa, rispetto alla pergamena − con la quale fino ad allora gli europei continuavano a scrivere, altrimenti sostituita perlopiù da sottili fogli di legno − era più sottile, d’aspetto cotonoso, meno resistente e si strappava più facilmente.
Per questo inizialmente era impiegata quando un documento scritto non era destinato a durare (come nel caso delle epistole o delle brutte copie), e per questo non era ben vista dalla classe intellettuale fruitrice delle opere manoscritte.
Tuttavia due aspetti ne sancirono il successo in tutta Europa:
- il costo di questo nuovo materiale, più economico della pergamena
- la sua maggiore reperibilità
Così ben presto iniziarono a spuntare cartiere in tutta Italia (la prima impiantata a Fabriano, nel 1276, forse grazie ai commerci del porto di Ancona) e in Europa (tra i primi paesi vediamo Germania, Francia e Svizzera), raggiungendo notevoli livelli di eccellenza tecnica.
Lentamente l’uso della carta cominciò a diffondersi e a diventare generale: si era così realizzata una delle condizioni indispensabili per la diffusione del libro.
Nuovi protagonisti
Combinata con i caratteri mobili, che permettevano la creazione seriale delle opere, la stampa portò anche a un cambiamento delle figure protagoniste del mondo dei libri.
Da un lato, dal singolo committente che richiedeva al copista l’opera si passa ora a un pubblico anonimo ma non indistinto dei lettori.
Dall’altro, sostituito il copista dalla bottega del tipografo, ecco entrare in scena figure che una produzione 1:1 non poteva nemmeno immaginare:
- il curatore, se l’opera edita era un classico
- l’editore commerciale, ovvero colui che si accollava i costi dell’impresa
- lo spedizioniere, che garantiva il trasporto dei volumi dal luogo di produzione ai luoghi di vendita
- e infine il libraio
Ciascuna di queste figure determinerà le novità che via via si presenteranno nella neonata industria editoriale.
La forma dei libri
Ma che forma avevano i primi libri? Il libro a stampa emulò in sostanza il manoscritto, proprio come oggi il digitale emula la stampa. I primi libri stampati a caratteri mobili riproponevano quindi i formati dei codici manoscritti, che rappresentavano per i tipografi gli unici modelli da cui era possibile prendere riferimento.
Da subito, tuttavia, si resero evidenti alcune difformità che necessitavano di soluzioni tipografiche diverse da quelle adottate dai copisti. La prima differenza tra la produzione del manoscritto e quella del libro a stampa è, come abbiamo già anticipato, il lettore.
Il percorso che regolava la produzione dei manoscritti prevedeva infatti che il copista consegnasse un esemplare il cui contenuto era ben noto al committente. Il percorso era diretto, e non richiedeva particolari accorgimenti volti all’identificazione dell’opera. Per questo i manoscritti non avevano un titolo: essi iniziavano con una descrizione del testo e una frase discorsiva che dichiarava l’opera e l’autore.
Nel mondo del manoscritto il committente sapeva benissimo che opera aveva richiesto, e in seguito, per rintracciarla sugli scaffali − dove era appoggiata di piatto e non in piedi − al committente bastava una strisciolina di carta apposta come etichetta, o addirittura una scritta autografa sul piatto o sul dorso del volume.
Con la nascita del libro così come lo conosciamo oggi si pongono problemi quantitativamente e qualitativamente diversi. Ogni testo viene prodotto in più copie, e non per altrettanti committenti che hanno ordinato al tipografo quei testi, bensì per acquirenti ipotetici, futuri, lontani e non conosciuti.
È la produzione seriale a imporre la necessità di comunicare al possibile lettore e acquirente una serie di informazioni sull’opera che sta sfogliando. Ogni singolo esemplare prenderà inoltre la sua strada verso questa o quella bottega di libraio, dove potrà restare anche per mesi o per anni in attesa di un acquirente.
Tutto ciò comporta problemi di magazzino, stoccaggio, spedizione, smistamento – e tutto questo si traduce nella necessaria, immediata riconoscibilità di un libro rispetto a un altro, senza essere per forza costretti a sfogliare le prime pagine del volume e leggere l’incipit.
Da questi presupposti la copertina e il titolo acquistano l’importanza anche commerciale che gli riconosciamo oggi, ma il percorso per arrivarci sarà tutt’altro che rapido e lineare.
Il frontespizio
Fin dall’inizio gli stampatori usarono la prima pagina del blocco-testo per presentare l’opera: poche righe con dati essenziali su autore, testo e stampatore, senza un ordine preciso e talvolta con un’immagine.
Su queste pagine iniziali spesso si aggiungevano, oltre alla marca tipografica (quello che oggi chiamiamo “logo”), le prime forme di promozione pubblicitaria di un libro: edizione commentata, oppure nuova e corretta, illustrata, tradotta, completa, o rivista “con ogni diligenza”.
La necessità di una titolazione chiaramente leggibile si fa comunque più evidente con la produzione a stampa. Il titolo dell’opera inizia così a spostarsi sempre più verso le carte bianche iniziali, che svolsero in origine una funzione protettiva, dato che i libri venivano venduti in segnature sciolte e non rilegati. La fortuna del frontespizio, cioè di una pagina dedicata al titolo, si consolida definitivamente negli anni Novanta del Quattrocento.
La presenza in frontespizio della marca editoriale, pratica che si afferma nei primi anni del XVI secolo, sarà l’ultimo e più importante elemento concettuale della “pagina del titolo” così come la conosciamo.
Altro passo decisivo fu quello compiuto da Gabriele Giolito nel 1568: egli usò nelle proprie edizioni il frontespizio, al fine di rendere evidente l’appartenenza di ogni singolo volume a una sequela coerente di testi, quella che noi moderni chiamiamo ancora con il termine da lui inventato, ovvero “collana”.
Tra la fine del Settecento e gli anni napoleonici il frontespizio, ancora così stipato di parole, si fa più sobrio, essenziale, codificato: al nome dell’autore segue il titolo (in genere in corpo maggiore), e staccati, al piede della pagina, l’editore, l’anno di pubblicazione, e, a partire dal 1710, il riferimento al diritto d’autore.
Successivamente, con l’industrializzazione ottocentesca, nuove macchine consentono di fascicolare i volumi applicando loro copertine prodotte industrialmente. Per la prima volta tutte le copie di un’opera stampate in una tiratura vengono poste in commercio con identiche copertine.
E oggi?
Terminiamo questo viaggio facendo un bel balzo in avanti e catapultandoci nei primi anni Settanta del Novecento, quando il Progetto Gutenberg dà alla luce i primi ebook. Per molti anni tuttavia i libri digitali vengono prodotti con l’unico obiettivo di archiviare perlopiù libri di dominio pubblico.
Sarà solo nel XXI secolo che il formato digitale inizia a essere considerato anche per la pubblicazione. Nel 2000 esce il primo libro in formato ebook: il romanzo Riding the Bullet di Stephen King, che in un solo giorno vende oltre 400.000 copie.
Qualche anno dopo, nel 2007, Amazon fa uscire il Kindle, il primo lettore ebook. Tuttavia, ancora oggi, i libri stampati continuano ad affascinarci per la loro storia e per il loro insostituibile odore di carta stampata.
FONTI
Lucien Febre, Henri-Jean Martin, La nascita del libro, Laterza, Roma, 1998
Hans Tuzzi, Libro antico e moderno, Carocci, Roma, 2018
Fabio M. Bertolo et al., Breve storia della scrittura e del libro, Carocci, Roma, 2004
Valentina Notarbernardino, Fuori di testo. Titoli, copertine, fascette e altre diavolerie, Ponte alle Grazie, Milano, 2020
Grazie per questo interessante e appassionante viaggio sul libro e in bocca al lupo per la vostra intrepida impresa.