Epilogo: istruzioni per l'uso
Prologo ed epilogo sono la cornice che racchiude la vostra storia. E proprio come una cornice, non fanno strettamente parte dell’opera, ma possono renderla più bella e dare al lettore un’idea dell’atmosfera generale della storia.
Immaginate di ammirare un quadro di un artista famoso: non vedreste mai un’opera di Picasso con una cornice dorata in stile barocco, giusto? E, allo stesso modo, un dipinto di Botticelli non avrebbe lo stesso impatto con la cornice nera e sottile usata per gli Escher. Dunque, così come le cornici possono esaltare un’opera d’arte, prologo ed epilogo possono arricchire una storia, ma non devono essere parte integrante della trama principale, né essere giocoforza presenti.
L’epilogo: la ciliegina sulla torta o una fetta di troppo?
Allora, parliamo dell’epilogo. Sapete quel capitolo alla fine del libro che non è proprio il finale? Esatto, è quel pezzo extra che gli autori aggiungono come tocco finale, un bonus track. Ma attenzione, non è sempre necessario. In realtà, è come un dessert dopo una cena già perfetta: può essere delizioso o del tutto superfluo.
A che serve un epilogo?
Ecco qualche idea:
- il “e vissero felici e contenti” o forse no: volete sapere cosa combinano i personaggi dopo il gran finale? L’epilogo è lì per dirvi se sono ancora felici o se si pentono amaramente delle loro scelte.
- risolvere i misteri lasciati in sospeso: se c’è qualcosa che è rimasto senza risposta, l’epilogo può fare da tappabuchi. Ma occhio, non deve sembrare un modo per rimediare a una storia mal chiusa!
- preparare il terreno per il sequel: l’epilogo può essere l’amo per tenere i lettori attaccati alla serie, magari con un bel cliffhanger che lascia tutti col fiato sospeso.
- un tocco di inquietudine: nelle storie horror o di suspense, ma anche in alcuni thriller, l’epilogo può suggerire che la minaccia non è del tutto scomparsa oppure rivela un risvolto del tutto inaspettato – quello che io chiamo “il finalissimo” e che mi piace particolarmente nei thriller perché, quando tutto è stato spiegato e ha una conclusione logica, regala un’ultima sorpresina!
- riprendere fiato dopo il rush finale: dopo tante peripezie e colpi di scena, un epilogo può servire a far tirare un sospiro di sollievo ai lettori, mostrando che i protagonisti sono finalmente in pace.
- un’ultima riflessione: a volte l’epilogo è usato per dare l’ultimo sguardo sul tema del libro, lasciando il lettore con qualcosa su cui meditare.
E a cosa non serve?
- Cercare di rimediare a un finale debole: l’epilogo non dovrebbe mai essere una toppa per un finale che non funziona.
- Rispondere a tutte le domande: non eliminate ogni dubbio. Lasciare qualcosa all’immaginazione rende la storia più viva. Ma no finali aperti con imbeccate assurde, un minimo di direzione va comunque garantita.
- Aggiungere roba inutile: ogni cosa nell’epilogo deve essere legata alla trama principale. Niente digressioni o informazioni extra che non c’entrano nulla. E poi se volete illustrare le fonti su cui avete fatto ricerca o ringraziare qualcuno potete sempre farlo in una Nota dell’autore e nei Ringraziamenti.
Le decisioni contano
L’epilogo, insomma, non deve essere un riassunto della storia o della vita del protagonista, ma piuttosto un’esplorazione delle conseguenze degli eventi principali.
Saper usare l’epilogo è fondamentale. Non aggiungetelo solo per allungare il brodo o perché “così fan tutti”. Se non c’è un motivo valido, potrebbe sembrare che non eravate sicuri del vostro finale.
Un buon epilogo non si limita a dirci cosa fanno i personaggi dieci anni dopo: ci mostra come gli eventi del romanzo li hanno cambiati. E se volete seriamente farci sapere dove sono finiti i personaggi, prima di scrivere, chiedetevi se è davvero necessario: se il vostro eroe ha sconfitto il cattivo, trovato l’amore della sua vita e si è sistemato alla grande, dobbiamo davvero sapere che dieci anni dopo va ancora tutto a gonfie vele?