Le parti del libro: le dediche

La dedica è una frase breve, posta in una pagina a se stante, in cui viene offerta a qualcuno, e quindi dedicata, l’opera stessa. Esistono tuttavia “generi” diversi di dedica: quella privata, quella integrata, ma anche quella sociale. 

Ma che si tratti di dediche integrate, sociali, simboliche, private o pubbliche, è prima di tutto al lettore che l’autore chiede di leggere quelle poche, iniziali parole, che chiariscono relazioni o che le ammantano di mistero.

Le origini

Le dediche di un libro, ovvero quelle brevi righe autoriali che di solito iniziano con «A» o «Per», poste dopo il colophon e subito prima dell’incipit, hanno origini molto lontane. Dal latino dedicare, il significato del termine rimanda all’azione di offrire qualcosa a qualcuno attraverso l’uso delle parole. 

La pratica della dedica sui libri è una delle abitudini paratestuali più antiche. Se in Grecia la formula standard era alle Muse, affinché benedicessero l’opera e la voce del poeta, nella Roma antica si offrivano le proprie opere a un benefattore, di fatto lo “sponsor” dell’autore, nella forma di captatio benevolentia. 

Le Georgiche di Virgilio erano, per esempio, dedicate a Mecenate, uomo politico e sostenitore di intellettuali. Da allora il suo nome passò per estensione a identificare un «munifico protettore e benefattore di poeti e artisti». 

L’abitudine alla dedica attraversa i secoli fino a cristallizzarsi in un vero e proprio genere, quello della dedicatoria, che a partire dal Cinquecento comincerà ad affiancare i testi, con regole e strutture codificate. 

Fino agli inizi dell’Ottocento rimane poi in voga l’abitudine della lettera dedicatoria, indirizzata ai potenziali sponsor dell’opera. La dedica epistolare tende via via col tempo a sparire e le eventuali indicazioni sull’opera e note di lettura che la lettera poteva contenere confluiranno progressivamente nello spazio delle prefazioni e introduzioni. 

Per l’omaggio ad personam resta la pagina successiva al frontespizio, nella forma moderna a cui tutti siamo abituati.

La dedica come spazio privato

Occorre innanzitutto fare una distinzione tra la dedica d’opera e quella d’esemplare.

La dedica d’esemplare è quella scritta a penna e, di solito, personalizzata per il suo destinatario. Può essere dell’autore, solito autografare una certa quantità di libri per i suoi lettori al termine di una presentazione, o quella che scriviamo in un libro che regaliamo a una persona per noi speciale.

La dedica d’opera è invece quella impressa a stampa per tutte le copie tirate dall’editore. Spesso è indirizzata a chi è stato il motore dell’ispirazione. In questo caso i confini con la funzione del ringraziamento sono molto labili. Nella maggior parte dei casi, una dedica d’opera per uno scrittore rappresenta quasi sempre l’esibizione pubblica di una relazione privata. Di conseguenza, per un autore consacrare il proprio scritto a qualcuno in particolare non è mai un gesto neutro. 

Ma perché si dedica e a chi si dedica? Solitamente la scelta degli autori italiani contemporanei ricade soprattutto sui familiari a cui va tutto il loro affetto e un’immensa riconoscenza. 

Niccolò Ammaniti non si limita a dedicare Io non ho paura (Einaudi, 2001) a sua sorella, ma sente la necessità di spiegarne il motivo, per quanto criptico: «Questo libro è dedicato a mia sorella Luisa, che mi ha seguito sulla Nera con la sua stelletta d’argento appuntata sulla giacca».

Spesso la dedica è anche indirizzata al partner. Ma cosa succede quando si dedica il libro a un compagno e poi l’amore finisce? Roberto Cotroneo, nella nuova edizione di Presto con fuoco (La nave di Teseo, 2020) ha eliminato la dedica originale che era per sua moglie. Nessun rancore: «Sono passati moltissimi anni dalla separazione e non avrebbe più ragione di esistere, probabilmente metterebbe anche in imbarazzo lei. Che senso ha tenerla ancora sul libro?» Per la nuova occasione ha scelto i suoi due ragazzi: «Ai miei figli Francesco e Andrea, giovani uomini che vivono di grandi passioni». 

Altre volte la persona che lo scrittore desidera evocare è un amico, come nel caso di Antoine de Saint-Exupéry che dedica Il piccolo principe al suo migliore amico Léon Werth. Nella dedica si rivolge ai bambini, per cui il libro è pensato e con i quali sente di doversi scusare: «A Léon Werth. Chiedo scusa ai bambini per aver dedicato questo libro a una persona adulta. Ho una ragione valida: questa persona è l’amico più caro che ho al mondo. Ho anche un’altra ragione: questa persona capisce tutto, anche i libri per bambini. E ho una terza ragione: questa persona vive in Francia, dove patisce il freddo e la fame, e ha bisogno di essere consolata. Se tutte queste ragioni non bastassero, allora dedicherei il libro al bambino che è stato un tempo. Tutti i grandi sono stati bambini (ma pochi se ne ricordano). Quindi correggo la dedica: A Léon Werth bambino».

Dediche integrate

Esistono poi dediche che offrono un contrappunto, una spiegazione ulteriore del testo. Poche parole che possono però nascondere indicazioni circa il contenuto, il sapore del libro o la situazione in cui è nato. Sono quelle che potremmo definire “dediche integrate”.

Questo è il caso per esempio di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara, che scrivono insieme – oltre che il libro – anche la dedica di Point Lenana (Einaudi, 2013): «A Gian Piero Motti, trent’anni dopo». Un omaggio all’alpinista scrittore scomparso prematuramente a soli 37 anni, nel 1983. 

Nel romanzo si narra la vita di Felice Benuzzi, autore di Fuga sul Kenya, libro nel quale racconta della fuga insieme ad altri due compagni dal campo di prigionia inglese POW Camp 354 e la conseguente scalata del monte Kenya, impresa replicata da Santachiara e Wu Ming nel 2012. 

Sul loro romanzo anche una seconda dedica, più sociale: «Alla Libera Repubblica della Maddalena». In questo caso il riferimento è al presidio NO TAV di Chiomonte, in località Maddalena. Sgomberato dalle forze dell’ordine, fu un’impresa sociale importante che gli autori hanno voluto ricordare, schierandosi politicamente. 

Non è raro che gli autori ringrazino persone che hanno avuto ruoli particolari in determinati momenti di vita o di carriera. Nel 1959 Pier Paolo Pasolini pubblicò con Garzanti il suo secondo romanzo, Una vita violenta, a quattro anni da Ragazzi di vita, per cui aveva dovuto affrontare un lungo e faticoso processo per oscenità. 

Una vita violenta è dedicato «a Carlo Bo e Giuseppe Ungaretti, miei testimoni nel processo contro Ragazzi di vita». Bo e Ungaretti, chiamati a testimoniare dalla difesa di Pasolini e dell’editore, misero in chiaro che il linguaggio scelto dallo scrittore era un’impostazione stilistica dettata dalla necessità di far parlare la realtà. La dedica di Una vita violenta è in un certo senso un atto dovuto: senza l’assoluzione favorita dai due intellettuali Pasolini non avrebbe potuto continuare a pubblicare.

Omaggio alla memoria

Capita spesso che i libri vengano dedicati al ricordo di una persona scomparsa. In questi casi si riscontrano anche dediche private che hanno un valore pubblico. 

Cotroneo aveva inizialmente pensato a Umberto Eco, con cui aveva avuto un rapporto molto speciale, per Niente di personale. Ma Eco, morto nel 2016, non avrebbe apprezzato: «Era un uomo molto riservato, non uso alle dediche». Cotroneo cambia idea e la dedica è, ancora una volta, ai suoi figli.

In molti hanno omaggiato l’editor di Einaudi Stile Libero, Severino Cesari, all’indomani della sua scomparsa. In Peccato mortale (2018) Carlo Lucarelli lo ricorda con affetto: «Severino, amico mio». Maurizio de Giovanni lo ringrazia nel suo Il Purgatorio dell’angelo (2019), «A Severino, per avermi mandato Enrica». Cesari era stato spesso oggetto di dediche anche quando era in vita. In apertura di Suburra, De Cataldo e Bonini lo ringraziano: «A Severino, lui sa il perché». 

Dediche sociali, dediche simboliche

C’è una vasta casistica di dediche dal valore sociale o simbolico. Quella di Giuseppe Pontiggia in Nati due volte è «ai disabili che lottano per non diventare normali ma se stessi». Una dedica sociale molto sentita che si lega subito al titolo. 

Il pensiero di Roberto Saviano per La paranza dei bambini (Feltrinelli, 2016) è «ai morti colpevoli. Alla loro innocenza». Sono i ragazzini protagonisti del libro.

Storie della buonanotte per bambine ribelli. 100 vite di donne straordinarie è dedicato naturalmente alle giovani a cui le autrici parlano direttamente: «Alle bambine ribelli di tutto il mondo: /sognate più in grande/puntate più in alto/ lottate con più energia./ E , nel dubbio, ricordate:/ avete ragione voi.»

Fonti

V. Notarberardino, Fuori di testo. Titoli, copertine, fascette e altre diavolerie, Ponte alle Grazie, 2020
C.
Demaria, R. Fedriga, Il paratesto, Sylvestre Bonnard, 2001



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