Libri tascabili

Oggi si trova ovunque, dalle edicole ai supermercati, ma la moda del libro economico e tascabile è antica, tanto che in passato si chiamava libro da bisaccia. Ma chi ha inventato i libri tascabili? E perché sono quelli su cui gli editori guadagnano di più?

Quali sono i libri tascabili?

I libri tascabili, ovvero i libri che si possono mettere in tasca, hanno una dimensione più piccola rispetto ai tipici volumi rilegati, una confezione per lo più in brossura, cioè senza copertina cartonata, e un prezzo più contenuto rispetto alle prime edizioni.

L’antenato del libro tascabile è il cosiddetto “libro da bisaccia”, piccolo e spartano testo a contenuto prevalentemente devozionale, imitazione dei ben più nobili e ingombranti codici antichi. Questo tipo di pubblicazione era molto diffusa nel Medioevo, ma poiché era scritta a mano dagli amanuensi ed era molto costosa da realizzare, era riservata per lo più a pochi individui. 

Il formato del libro che si può mettere in tasca, di buona fattura e a un prezzo abbordabile, fu ripreso successivamente da Aldo Manuzio. Dalla sua tipografia uscirono infatti nel 1501 le “Bucoliche” di Virgilio in formato 32° (cioè alte 10 centimetri), testo nel quale fu usato per la prima volta il carattere corsivo. 

Manuzio intuì l’esistenza di un pubblico pronto a utilizzare i libri in modo diverso da quello dominante fino ad allora: lettori meno orientati allo studio e più al piacere, affamati di storie da leggere ovunque e in qualunque posizione, non solo seduti al tavolo come gli eruditi. Capì quindi che la maneggiabilità e trasportabilità dei libri erano fattori importanti, e che un formato ridotto sarebbe stato decisivo per allargarne l’utilizzo e di conseguenza la vendita. 

Tuttavia, fino all’avvento dell’editoria industriale, la dimensione dei libri non era direttamente legata al prezzo, e produrre un libro piccolo non costava molto meno che stamparne uno grande. Fu solo successivamente, grazie alle nuove tecnologie della stampa offset, che avvenne il vero e proprio boom delle vendite dei tascabili in Italia, creando una vera e propria invasione di pocket non solo nelle librerie.

Quando sono nati i libri tascabili?

La moda dei libri tascabili nacque negli Stati Uniti, da dove venne ripreso anche il termine che indicò questo “nuovo” formato: Pocket Books – appunto “libri da tasca” – era infatti una collana che la Simon&Schuster, uno dei più importanti editori del mondo, lanciò nel 1939. 

Collane simili, però, esistevano già: la più importante fu quella dell’editore inglese Penguin, nata nel 1935. Volendo provare a vendere nei chioschi delle stazioni, nelle tabaccherie e nei primi supermercati, adottò colori diversi in copertina per ogni genere: arancione per la narrativa, verde per i thriller e blu per le biografie, un genere amato dai lettori anglosassoni. Il costo di ogni libro era di 6 pence, l’equivalente di un pacchetto di sigarette.

La BUR in Italia

Nel nostro Paese uno dei primi editori a seguire questa moda, ottenendo un enorme successo, fu Rizzoli, che nel 1949 lanciò la collana Bur (Biblioteca Universale Rizzoli), facendo scoprire i classici e la cultura a un’Italia appena uscita dalla guerra, con volumetti dalla copertina tipografica (ovvero di solo testo) di colore grigio dal prezzo contenuto e modulare (per 100 pagine 50 lire, corrispondenti a meno di un euro oggi). 

Ma ancor prima, tra le primissime iniziative del formato a costi ridotti, va ricordata la Biblioteca Universale Sonzogno, casa editrice che editava anche periodici e che per prima regalò un libro agli abbonati di riviste e giornali. Nel 1882, nei titoli inaugurali della collezione popolare tascabile, pubblicò nella prima pagina una lettera aperta agli «Amici lettori» per presentare i «volumetti che costano pochi centesimi ed offrono di ciascun autore quelle opere meno voluminose che possono facilmente leggersi durante i riposi degli studi o dei lavori quotidiani», con una «trinità di scopi: far conoscere, dilettare, educare».

La rivoluzione degli Oscar Mondadori

Una vera e propria rivoluzione si ebbe però nel 1965 con gli Oscar Mondadori. Il modello era quello dell’editore Penguin, e i testi selezionati erano quelli contemporanei, quindi sotto diritti, recuperati da altre collane o da cataloghi in crisi, senza note o introduzioni. Il prezzo era fissato a 350 lire e il formato 11×18,5 cm. 

La copertina aveva una grafica progettata con chiari intenti di marketing (il prezzo ben in vista, più grande del nome dell’autore, con anche l’indicazione dell’alta tiratura per rendere il prodotto appetibile). Era importante anche l’utilizzo dei retri di copertina, della seconda e terza facciata, per inserire rispettivamente un testo programmatico, redatto da Vittorio Sereni, e una scheda del titolo successivo, spesso legato tematicamente a quello precedente. 

Sulla seconda di copertina si leggeva quindi che «Gli Oscar, i libri-transistor che fanno biblioteca» sono «in edizione integrale supereconomica per il tempo libero». Curiosamente sono elencati anche i vari luoghi di lettura, dalla casa al transatlantico, dalla fabbrica all’ufficio, per «un pubblico in movimento»: messaggio, questo, che dà l’idea della dinamicità della proposta editoriale. 

Ma la vera innovazione degli Oscar è nel canale distributivo: non soltanto nelle librerie ma soprattutto in punti vendita più diffusi e frequentati giornalmente, proprio come le edicole e i supermercati. 

La collana divenne nel 1984 una vera e propria casa editrice interna alla Mondadori, portando quasi metà del fatturato complessivo. All’inizio degli anni Duemila questi tascabili rappresentavano ancora il 45% del fatturato della casa madre. 

I libri tascabili oggi

Ancora oggi le case editrici guadagnano soprattutto sulle seconde edizioni economiche, ovvero proprio dai cosiddetti libri tascabili. Produrli costa meno, e quindi il guadagno è molto più alto. 

Il risparmio non è tanto dovuto a fattori materiali – la qualità della carta, della rilegatura o delle copertine non rigide – quanto ai costi editoriali, che sono molto minori. L’editore infatti non deve pagare traduzioni, revisioni e correzioni di bozze, ha costi di produzione più bassi e paga meno gli autori: non sono infatti previsti anticipi, e le royalties sono più basse rispetto alle prime edizioni. I tascabili garantiscono quindi spesso la liquidità necessaria all’editore per produrre nuove edizioni.

Tuttavia negli ultimi decenni la proliferazione di collane in brossura e l’ampliamento del pubblico hanno reso molto meno chiara la distinzione tra prime e seconde edizioni economiche, generando alcuni paradossi. 

Come abbiamo visto, infatti, la qualità di un tascabile non è necessariamente più bassa rispetto a quella della prima edizione. Per esempio, la qualità della carta e della rilegatura di una prima edizione pubblicata da Einaudi Stile libero è appena superiore, e solo per la presenza di alette e per le dimensioni maggiori, dello stesso titolo ripubblicato l’anno dopo per ET, collana tascabile di Einaudi, anche se il secondo avrà un prezzo di copertina di circa un terzo inferiore. 

Non esiste più un pubblico da conquistare con la politica dei prezzi bassi, e anche se i libri tascabili continuano a rappresentare una grande fetta del fatturato degli editori, le rilevazioni statistiche dimostrano che, come sottolinea anche Giancarlo Ferretti, critico letterario e storico dell’editoria, «nell’elenco dei più venduti ci sono ancora quasi esclusivamente prime edizioni, e questo significa che il mercato è ancora dominato dalle novità».

Fonti

AA. VV., “A proposito di libri”, Cose spiegate bene, ll Post e Iperborea, 2021
Roberto Cicala, I meccanismi dell’editoria. Il mondo dei libri dall’autore al lettore, Bologna, Il Mulino, 2021

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